Appunti che si propongono di esporre gli aspetti completi per un'estetica del cinema.
Si passa dalla definizione dello spazio audiovisivomdel cinema, alla sua indagine, seguendo quattro cardini fondamentali dell’analisi cinematografica.
Il montaggio, di cui vengono indagati i principi, le funzioni e le due ideologie principali della trasparenza e del montaggio sovrano.
La narrazione, in cui si cerca di porre l'accento tra la differenza tra cinema di finzione e cinema realistico.
Il linguaggio, che verte sul capire se il cinema sia una lingua o un linguaggio, sfociando poi nell'analisi testuale.
E infine lo spettatore, viene preso in esame lo spettatore cinematografico e le varie identificazioni che "subisce" al cinematografo.
Estetica del film
di Nicola Giuseppe Scelsi
Appunti che si propongono di esporre gli aspetti completi per un'estetica del
cinema.
Si passa dalla definizione dello spazio audiovisivomdel cinema, alla sua
indagine, seguendo quattro cardini fondamentali dell’analisi cinematografica.
Il montaggio, di cui vengono indagati i principi, le funzioni e le due ideologie
principali della trasparenza e del montaggio sovrano.
La narrazione, in cui si cerca di porre l'accento tra la differenza tra cinema di
finzione e cinema realistico.
Il linguaggio, che verte sul capire se il cinema sia una lingua o un linguaggio,
sfociando poi nell'analisi testuale.
E infine lo spettatore, viene preso in esame lo spettatore cinematografico e le
varie identificazioni che "subisce" al cinematografo.
Università: Università degli Studi di Bologna
Facoltà: Lettere e Filosofia
Esame: Cinema
Titolo del libro: Estetica del film
Editore: Lindau - Torino -
Anno pubblicazione: 19991. Le caratteristiche dello spazio filmico
Vi sono evidentemente notevoli differenze tra il fotogramma e l’immagine sullo schermo, a cominciare
dall’impressione di movimento data da quest’ultima; ma l’una come l’altra si presentano a noi nella forma di
un’immagine piatta e determinata da un quadro: queste due caratteristiche sono i fatti fondamentali da cui
scaturisce la nostra apprensione della rappresentazione filmica.
Il quadro, che si definisce come il limite dell’immagine, vede le proprie dimensioni e le proprie proporzioni
imposte da due dati tecnici: la larghezza della pellicola e le dimensioni dell’apertura della m.d.p.: è la
combinazione di questi due dati che definisce il formato del film. Il quadro svolge un ruolo importante nella
composizione dell’immagine, specialmente quando l’immagine è immobile o quasi immobile; si può dire
che la superficie rettangolare delimitata dal quadro, e che talvolta viene anche chiamata per estensione
quadro, è uno dei primi materiali su cui lavora il cineasta. Reagiamo davanti a quell’immagine piatta come
se in realtà vedessimo una porzione di spazio a tre dimensioni analogo allo spazio reale nel quale viviamo;
quest’analogia è vissuta come molto forte, e comporta un’impressione di realtà specifica del cinema, che si
manifesta principalmente nell’illusione di movimento e nell’illusione di profondità.
Naturalmente questa illusione di profondità è così forte soltanto perché ci siamo abituati, mentre i primi
spettatori di film erano senza dubbi più sensibili al carattere parziale dell’illusione di profondità; scrive
Arnheim riferendosi al cinema muto, che l’effetto prodotto dal film si situa tra la bidimensionalità e la
tridimensionalità, e che si percepisce l’immagine filmica a un tempo in termini di superficie e di piattezza.
Quindi l’importante è notare che noi reagiamo davanti all’immagine filmica come davanti alla
rappresentazione assai realistica di uno spazio immaginario (campo) che ci sembra di percepire. Il fuori
campo è essenzialmente legato al campo, dal momento che non esiste se non in funzione di esso; potrebbe
essere definito come l’insieme degli elementi che pur non essendo inclusi nel campo sono tuttavia collegati
ad esso in modo immaginario tramite un qualsiasi mezzo (entrate ed uscite di campo, diversi richiami diretti
del fuori campo da parte di un elemento del campo, ecc.).
Si può anche in qualche modo considerare che campo e fuori campo appartengono entrambi ad un
medesimo spazio immaginario omogeneo: lo spazio filmico, o scena filmica che dir si voglia; certi autori,
Burch ad esempio, riservano il termine immaginario al fuori campo che non è ancora mai stato visto,
definendo giustamente concreto lo spazio che è fuori campo dopo esser stato visto. Comunque non si
seguiranno questi autori, non foss’altro per il fatto d’insistere sul carattere immaginario del campo, che in
ogni caso è qualcosa di non tangibile, e sull’omogeneità, la reversibilità tra campo e fuori campo, che sono
l’uno è l’altro ugualmente importanti per la definizione di spazio filmico; questa pari importanza ha
d'altronde un’altra ragione, ovvero il fatto che la scena filmica non si definisce unicamente mediante tratti
visuali: il suono svolge innanzitutto un ruolo fondamentale, e lo sviluppo temporale della storia narrata, del
racconto, impone la presa in considerazione del passaggio permanente tra i due campi, quindi la loro messa
in comunicazione immediata. Tutte queste considerazioni sullo spazio filmico hanno senso soltanto finché si
ha a che fare col cinema narrativo e rappresentativo
Nicola Giuseppe Scelsi Sezione Appunti
Estetica del film 2. Bonitzer e la nozione di fuori campo
Bonitzer propone un altro approccio alla nozione di fuori campo, avanzando l’idea di un fuori campo anti-
classico, eterogeneo al campo, e che potrebbe essere definito come lo spazio della produzione: un tale punto
di vista ha in particolare la virtù di porre con forza l’accento sull’illusione che la rappresentazione filmica
costituisce, occultando in tal modo sistematicamente ogni traccia della propria produzione; tuttavia
quest’illusione è all’opera tanto nella percezione del campo come spazio a tre dimensioni, quanto nella
manifestazione di un fuori campo tuttavia invisibile. Sembra dunque preferibile conservare al fuori campo il
termine ristretto; quanto allo spazio della produzione del film, dove si dispiega e agisce tutta l’attrezzatura
tecnica, tutto il lavoro di regia, tutto il lavoro di scrittura, sarebbe più adeguato definirlo come fuori quadro,
nozione che benché non compaia esplicitamente fa parte degli studi di Ejzenstein.
Nicola Giuseppe Scelsi Sezione Appunti
Estetica del film 3. Definizione di prospettiva
L’impressione di profondità non è assolutamente propria soltanto del cinema, ed esso è ben lontano
dall’aver inventato tutto in questo ambito; tuttavia, la combinazione di processi utilizzati nel cinema per
produrre questa profondità apparente è di per sé singolare, e testimonia eloquentemente della collocazione
particolare del cinema nella storia dei mezzi di rappresentazione. Oltre alla riproduzione del movimento, due
serie di tecniche sono essenzialmente utilizzate: la prospettiva e la profondità di campo. -
LA PROSPETTIVA
È una nozione comparsa molto presto in riferimento alla rappresentazione pittorica, ma è interessante notare
che il termine è apparso nel suo senso attuale soltanto nel Rinascimento; essa si può definire come l’arte di
rappresentare gli oggetti su una superficie piana in modo che tale rappresentazione sia simile alla percezione
visiva che si può avere di quegli stessi oggetti. Questa definizione presuppone tra l’altro che si sappia
definire una rappresentazione simile a una percezione diretta: questa nozione di analogia figurativa è
alquanto estensibile, e i limiti di somiglianza sono largamente convenzionali; come hanno osservato tra gli
altri Gombrich e Arnheim, le arti rappresentative riposano su un’illusione parziale, che permette di accettare
le differenze tra la visione del reale e la sua rappresentazione.
Essa ci appare ammissibile, naturale, perché siamo completamente abituati a una determinata forma di
pittura rappresentativa; il solo sistema che siamo abituati a considerare scontato, perché domina l’intera
storia moderna della pittura, è quello elaborato a partire dal XV sec. sotto il nome di perspectiva artificialis,
o prospettiva monoculare, e il fatto che la scelta cadde su di esso ha essenzialmente due ordini di
considerazioni: 1)il suo carattere automatico(artificialis), più precisamente il fatto che esso dia luogo a
costruzioni geometriche semplici, che possono essere materializzate da diversi strumenti, 2)il fatto che, per
costruzione, essa copi la visione dell’occhio umano, tentando di fissare sulla tela un’immagine ottenuta con
le stessi leggi geometriche dell’immagine retinica(fatta eccezione per la curvatura retinica, che d'altronde ci
è del tutto impercettibile). Da qui una delle caratteristiche essenziali del sistema, che è l’istituzione del punto
di vista; l’importante comunque non è sottolineare questa filazione del cinema dalla pittura, quanto valutarne
le conseguenze.
Nicola Giuseppe Scelsi Sezione Appunti
Estetica del film 4. Definizione di profondità di campo
Un altro parametro della rappresentazione che svolge un ruolo importante nell’illusione di profondità è la
nitidezza dell’immagine; ma se in pittura la questione è relativamente semplice, nel cinema le cose stanno
diversamente: la conformazione della m.d.p. impone in effetti una correlazione tra diversi parametri(quantità
di luce che penetra nell’obiettivo, distanza focale, ecc.) e la più o meno intensa nitidezza dell’immagine.
Queste osservazioni sono doppiamente da temperare, sia perché i pittori del Rinascimento hanno tentato di
codificare il legame tra nitidezza dell’immagine e vicinanza dell’oggetto rappresentato, sia perché,
inversamente, molti film fanno uso del flou artistico, che consiste in una diminuzione volontaria della messa
a fuoco in tutto o in parte del quadro a fini espressivi. All’infuori di questi casi particolari, l’immagine
filmica è nitida in tutta una parte del campo, ed è per caratterizzare l’estensione di tale zona di nitidezza che
si determina la cosiddetta profondità di campo; si tratta di un dato tecnico dell’immagine, che peraltro è
possibile modificare facendo variare la focale dell’obiettivo(la profondità di campo è tanto più ampia quanto
più corta è la focale) o l’apertura del diaframma(la profondità di campo è tanto più ampia quanto meno è
aperto il diaframma), e che si definisce coma la profondità della zona di nitidezza. Ciò che si definisce come
profondità di campo è la distanza, misurata secondo l’asse dell’obiettivo, tra il punto più vicino e il punto
più lontano che forniscono un’immagine nitida; questo presuppone una definizione convenzionale della
nitidezza per il formato 35mm: si considera nitida l’immagine di un punto oggetto, di dimensioni
infinitamente piccole, quando il diametro di quest’immagine è inferiore a 1/30 mm. Ma la profondità di
camp che abbiamo appena definito non è la profondità di campo: questa è una conseguenza di diversi
parametri dell’immagine filmica; se essa è grande, la disposizione su diversi piani degli oggetti in asse, tutti
nitidamente visibili, andrà a rafforzare la percezione dell’effetto prospettico, mentre se essa è ridotta, i suoi
stessi limiti manifesteranno la profondità dell’immagine(il personaggio diventa nitido avvicinandosi a noi,
ecc.). Se dunque la profondità di campo è di per se stessa un fattore permanente dell’immagine filmica, l’uso
che di essa si è fatto è variato enormemente nel corso della storia dei film: il cinema delle origini
beneficiavano di una profondità di campo molto ampia, mentre durante tutto il periodo della fine del muto e
degli inizi del parlato, essa scompare dal cinema; così l’uso massiccio e ostentato in certi film degli anni ’40
di un’ampia profondità di campo fu preso come una vera riscoperta.
Nicola Giuseppe Scelsi Sezione Appunti
Estetica del film 5. La nozione di piano
Analizzando fin qui l’immagine filmica in termini di spazio, la si è considerata un po’ come un dipinto o una
fotografia, in ogni caso come un’immagine unica, fissa, indipendente dal tempo. Non è però così che essa
appare allo spettatore del film, per il quale non è unica; non è indipendente dal tempo; ed è in movimento,
internamente al quadro inducendo l’apprensione di movimenti nel campo, ma anche movimenti del quadro
in rapporto al campo o movimenti della m.d.p. Si distinguono due grandi famiglie di movimenti di
macchina: il travelling, che è uno spostamento della base della macchina da presa, durante il quale l’asse di
ripresa resta parallelo a una medesima direzione, e la panoramica, che inversamente è una rotazione della
m.d.p. mentre la base resta fissa; esiste naturalmente una sorta di combinazione tra questi due movimenti, e
si parla allora di piano-travelling; più recentemente è stato introdotto il travelling ottico, ovvero lo zoom,
obiettivo a focale variabile. Il piano è tutto questo insieme di variabili: dimensioni, quadro, punto di vista,
ma anche movimento, durata, ritmo, relazione ad altre immagini. In fase di ripresa, esso è utilizzato come
equivalente approssimativo di quadro, campo, ripresa, e designa dunque al tempo stesso un certo punto di
vista sull’evento e una certa durata; mentre in fase di montaggio, la definizione di piano è più precisa, e
diventa a quel punto la vera unità di montaggio, lo spezzone minimo di pellicola che, assemblato con altri,
produrrà il film. - 11 -
Nicola Giuseppe Scelsi Sezione Appunti
Estetica del film 6. I contesti di utilizzo del piano
In estetica del cinema il piano viene utilizzato in almeno tre tipi di contesto:
a) In termini di grandezza. Si definiscono classicamente differenti misure di piano, generalmente in rapporto
a diverse possibili inquadrature di un personaggio: la questione delle grandezze di un piano contiene in
realtà due differenti problematiche:
- una questione di inquadratura, che non è essenzialmente differente dagli altri problemi legati al quadro e,
più in generale, deriva dall’istituzione di un punto di vista della m.d.p. sull’evento rappresentato.
- un problema teorico-ideologico più generale, proprio nella misura in cui queste grandezze sono
determinate in rapporto al modello umano. Questo riferimento implicito della misura del piano al modello
umano funziona quasi sempre come riduzione di ogni figurazione a quella di un personaggio.
b) In termini di mobilità. Il paradigma sarebbe qui composto dal piano fisso e dai diversi tipi di movimenti
di macchina. Le interpretazioni spesso date dei movimenti di macchina: la panoramica sarebbe l’equivalente
dell’occhio che gira nell’orbita, il travelling di uno spostamento dello sguardo; quanto allo zoom si è talvolta
tentato di leggerlo come focalizzazione dell’attenzione di un personaggio.
c) In termini di durata. La definizione del piano come unita di montaggio implica che vengano egualmente
considerati come piani frammenti molto brevi e spezzoni molto lunghi. Il più frequentemente studiato è
quello che deriva dalla comparsa del piano-sequenza: in particolare Mitry e Metz hanno chiaramente
mostrato che un simile piano era di fatto l’equivalente di una scena di frammenti più corti; così il piano
sequenza, se formalmente è un piano, non per questo non sarà considerato in molti casi intercambiabile con
una sequenza.
Comunque, il termine piano deve essere usato con precauzione, ed evitato ogniqualvolta sia possibile;
quanto meno, impiegandolo, bisogna essere consci di ciò che esso contiene e di ciò che esso maschera. - 12 -
Nicola Giuseppe Scelsi Sezione Appunti
Estetica del film 7. La riproduzione sonora al cinema
IL CINEMA RAPPRESENTAZIONE SONORA
Tra i caratteri cui il cinema, nella sua forma attuale, ci ha abituati, la riproduzione del suono è senza dubbio
uno di quelli che paiono più naturali e, senza dubbio per questa ragione, uno di quelli su cui la teoria e
l’estetica si sono interrogati relativamente poco; tuttavia, tutti sanno che il sonoro non è un dato naturale
della rappresentazione cinematografica, e che la concezione e il ruolo che di ciò che viene chiamato colonna
audio sono variati e variano ancora enormemente a seconda dei film, grazie a due determinazioni essenziali:
i fattori economici-tecnici e la loro storia, e i fattori estetici ed ideologici.
Nicola Giuseppe Scelsi Sezione Appunti
Estetica del film 8. Il principio di montaggio
Uno dei tratti specifici più evidenti del cinema è di essere un’arte della combinazione e della disposizione: è
questo essenzialmente l’aspetto individuato nella nozione di montaggio, e si può notare che si tratta di una
nozione, assolutamente centrale in ogni teorizzazione del filmico, che deriva da una base empirica. Il
montaggio è dunque innanzitutto un’attività tecnica, organizzata in professione, che nel corso di alcuni
decenni di esistenza ha messo a punto e progressivamente fissato certe procedure e certi tipi di attività; esso
si presenta come la catena che porta dalla sceneggiatura al film finito. Nel caso di una produzione
tradizionale la catena sarà questa (in realtà, sarà descritto soltanto il lavoro svolto correntemente sulla
colonna-immagine):
- scomporre la sceneggiatura in unità d’azione, e nello scomporre ulteriormente queste ultime, per ottenere
delle unita di ripresa;
- questi piani durante le riprese danno luogo generalmente a diverse inquadrature;
- l’insieme di queste inquadrature costituisce i giornalieri, a partire dai quali comincia il lavoro di montaggio
propriamente detto: una selezione tra i giornalieri degli elementi utili, un assemblaggio dei piani scelti in un
certo ordine, e infine la determinazione a un livello più preciso della lunghezza esatta che conviene dare a
ciascun piano, e dei raccordi tra questi piani.
Nicola Giuseppe Scelsi Sezione Appunti
Estetica del film 9. Le parti del montaggio
Così, il montaggio si riduce a tre grandi operazioni(selezione, assemblaggio, raccordo) che hanno lo scopo
di ottenere, a partire da elementi in partenza separati, una totalità; Martin definisce il montaggio come
l’organizzazione dei piani di un film in determinate condizioni di ordine e di durata. È a partire da questa
definizione ristretta di montaggio che si proporrà un’estensione in due direzioni: oggetti del montaggio e
modalità d’azione del montaggio. - 16 -
OGGETTI DEL MONTAGGIO
Piano va qui considerato secondo una sola delle sue dimensioni, quella che indica l’introduzione del tempo
nel film e dunque come equivalente dell’espressione “unita (empirica) di montaggio”; ma si può anche
considerare che le operazioni di organizzazione e di disposizione che definiscono il montaggio possano
applicarsi ad altri tipi di oggetti.
PARTI DI FILM (SINTAGMI FILMICI) DI AMPIEZZA SUPERIORE AL PIANO
Questa formulazione implica una problematica molto concreta, almeno nei film narrativo-rappresentativi,
che sono generalmente articolati in un certo numero di unità narrative successive; oltre a questo problema
della segmentazione dei film narrativi, si possono fornire due esempi concreti:
- un fenomeno generale, ossia quello della citazione filmica. Un frammento di film citato in un altro definirà
in esso un’unità facilmente divisibile in ampiezza generalmente superiore al piano, e che entra direttamente
in rapporto, a questo livello, con il resto del film.
- un esempio storico di portata ben più ristretta. Nel lavoro svolto con i suoi studenti per preparare le riprese
di un episodio di finzione, Ejzenstein propose di scomporre la sceneggiatura in grandi unità narrative
(complessi di piani), e di considerare due livelli di découpage/montaggio, il primo tra complessi di piani e il
secondo, all’interno di queste grandi unità, tra piani. Bisogna ancora aggiungere il caso di tutti i film
espressamente costruiti sull’alternanza e la combinazione tra due o più serie narrative.
Nicola Giuseppe Scelsi Sezione Appunti
Estetica del film 10. Le parti di film di ampiezza inferiore al piano
PARTI DI FILM DI AMPIEZZA INFERIORE AL PIANO
Anche questa formulazione indica dei casi di figura del tutto reali, perfino banali, quelli in cui si può
considerare un piano come scomponibile in unità più piccole; si può decidere di frammentare il piano in due
modi:
- nella sua durata. È il caso classico del piano-sequenza, ma anche di molti altri piani che non lo sono
veramente, e in cui tuttavia un evento qualunque(movimento di macchina, gesto, ecc.) è sufficientemente
sottolineato da svolgere il ruolo di cesura, o addirittura di vera e propria rottura, o per effettuare profonde
trasformazioni nel quadro. Un esempio celebre è il famoso piano di Quarto potere in cui, dopo aver mostrato
Susan sul palco dell’opera, la m.d.p. sale in un lungo travelling verticale fino alle soffitte, andandosi a
fermare su due macchinisti: nel corso di questo movimento l’immagine si trasforma continuamente, tanto
dal punto di vista della prospettiva che dal punto di vista della composizione del quadro.
- nei suoi parametri visuali(soprattutto spaziali). Qui, i casi di figure immaginabili sono numerosi e molto
diversi: si potrebbe andare da effetti plastici relativamente sommari ad effetti di incollaggio spaziali che
possono essere molto sofisticati.
Va da sé che in questi due esempi non vi è alcuna operazione di montaggio isolabile: il gioco del principio
del montaggio si produce qui all’interno stesso dell’unità costituita dal piano. In questo caso come nel
precedente(quello del piano lungo), gli effetti di montaggio, se possono essere assai netti e indubitabili, non
sono mai suscettibili di essere definiti formalmente con il medesimo rigore del montaggio in senso stretto.
Nicola Giuseppe Scelsi Sezione Appunti
Estetica del film 11. Le parti di film che non coincidono con la divisione dei piani
PARTI DI FILM CHE NON COINCIDONO, O NON COINCIDONO TOTALMENTE, CON LA
DIVISIONE DEI PIANI
È il caso che si verifica quando si considera il gioco reciproco di due istanze differenti della
rappresentazione, senza che questo gioco veda necessariamente le proprie articolazioni concordare con
quelle dei piani: il caso più notevole è quello del montaggio tra la colonna immagine e la colonna audio. Le
sole teorie del cinema in cui il rapporto suono-immagine sia descritto come un procedimento di montaggio,
con tutte le conseguenze del caso, sono teorie diametralmente opposte a tutta l’estetica classica della
trasparenza.
In tutti i casi che abbiamo citato si è più o meno lontani non soltanto dalla definizione ristretta di montaggio,
ma talvolta anche da un’operazione di montaggio reale; ma se si può ritenere che in tutti i casi vi sia
qualcosa che appartiene all’ordine del montaggio, è perché si tratta sempre della messa in relazione tra due o
più elementi. Si può andare ancora più lontano, almeno come eventualità di principio, nell’estensione del
concetto di montaggio, e giungere fino a considerare oggetti che non siano più parti di film: potrebbero per
esempio essere definiti montaggio di film tra loro, film diversi di uno stesso cineasta, o di una stessa scuola,
o sullo stesso soggetto, ecc.
Nicola Giuseppe Scelsi Sezione Appunti
Estetica del film 12. La modalità di azione del montaggio
MODALITA’ D’AZIONE DEL MONTAGGIO
Tornando alla definizione ristretta constatiamo che essa è molto più soddisfacente e più completa su questo
punto che sul punto precedente; in effetti essa assegna al principio di montaggio un ruolo di organizzazione
di elementi del film secondo criteri di ordine e durata. È con i tre criteri di giustapposizione, ordinamento, e
successione della durata, che si rende conto di tutte le eventualità che si sono incontrate. Siamo ora in grado
di definire il montaggio in modo più largo, a partire da una presa in considerazione di tutte le manifestazioni
del principio di montaggio nell’ambito filmico. La definizione allargata di montaggio sarà dunque la
seguente: “Il montaggio è il principio che regge l’organizzazione di elementi filmici visuali e sonori, o di
assemblaggi di tali elementi, giustapponendoli, concatenandoli e/o regolando la loro durata”.
Questa definizione tra l’altro non contraddice quella data da Metz, per cui il montaggio “in senso lato” è
l’organizzazione concertata delle co-occorrenze sintagmatiche sulla catena filmica, e che distingue tre
modalità principali di manifestazione di queste relazioni sintagmatiche, di concatenamento: l’incollaggio (di
piani isolati gli uni con gli altri), il movimento di macchina, e la compresenza di più motivi in uno stesso
piano.
Nicola Giuseppe Scelsi Sezione Appunti
Estetica del film 13. Le funzioni del montaggio
Non è del tutto inutile cominciare con lo sgomberare il campo da un equivoco sul piano de vocabolario; ciò
che designiamo come funzioni del montaggio è spesso stato chiamato effetti di montaggio: ma c’è da dire
che tra i due termini la differenza pratica è sottile, e questo per due tipi di ragione:
- il termine “effetto” rimanda a qualcosa che si può effettivamente constatare: è dunque più adatto a una
descrizione dei casi concreti; mentre il termine “funzione”, più astratto, è indicato per un tentativo a
vocazione formalizzante.
- d’altra parte, il termine “effetto” è suscettibile di generare una confusione tra effetti di montaggio ed
effetto-montaggio, espressione con la quale certi teorici, come Mitry, designano il principio di montaggio, o
montaggio allargato.
APPROCCIO EMPIRICO 1
Le considerazioni tradizionali sulle funzioni del montaggio si basano in primo luogo su un’analisi delle
condizioni storiche della comparsa e dello sviluppo del montaggio, in senso ristretto; infatti, molto presto il
cinema ha utilizzato la messa in sequenza di più immagini, a fini narrativi. i primi film di Méliès sono gia
composti da più piani, ma si considera in generale, che pur essendo l’inventore del film narrativo, egli non fa
davvero uso del montaggio e i suoi film sono tutt’al più delle successioni di quadri; tra i grandi precursori e
inventori di un montaggio realmente usato come tale c’è Porter, con il suo The life of an american
fireman(‘02), ma ancor di più con The great train robbery(‘03). Tutti gli storici comunque sono d’accordo
nel considerare che la comparsa del montaggio abbia avuto come effetto estetico principale una liberazione
della macchina da presa, sino ad allora inchiodata al piano fisso; per dirla con Metz, la trasformazione del
cinematografo in cinema si è giocata intorno ai problemi di successione di più immagini, molto più che
intorno ad una modalità supplementare dell’immagine stessa.
APPROCCIO EMPIRICO 2
Così la funzione primaria del montaggio è la sua funzione narrativa: tutte le descrizioni classiche del
montaggio considerano questa funzione come la funzione normale del montaggio; il montaggio è dunque ciò
che assicura il concatenamento degli elementi dell’azione secondo un rapporto che è un rapporto di causalità
e/o di temporalità dietetiche. Questa funzione fondativa del montaggio è il più delle volte contrapposta ad
un’altra grande funzione, talvolta considerante come escludente la prima, e che consisterebbe in un
montaggio espressivo, che non sarebbe un mezzo ma un fine e che mira a esprimere attraverso se stesso,
attraverso l’urto di due immagini, un sentimento o un idea. Questa distinzione tra un montaggio che
mirerebbe essenzialmente a essere strumento di una narrazione chiara, e un montaggio che mirerebbe a
produrre delle collisioni estetiche in questo caso indipendenti da ogni finzione, riflette sulla questione
particolare del montaggio; definita in questo modo l’idea stessa del montaggio espressivo non ha mai trovato
da attualizzarsi allo stato puro, se non in alcuni film dell’epoca del muto, come quelli dell’avanguardia. La
debolezza e il carattere artificiale di questa distinzione hanno condotto molto rapidamente ad osservare che
in realtà, oltre alla sua funzione centrale, il montaggio produceva anche un certo numero di altri effetti nel
film; Martin stabilisce che il montaggio crea il movimento, il ritmo e l’idea: grandi teorie di pensiero, che
non mancano del resto di confermare la suddetta funzione narrativa, e non permettono di andare oltre nella
formalizzazione.
Nicola Giuseppe Scelsi Sezione Appunti
Estetica del film
Nicola Giuseppe Scelsi Sezione Appunti
Estetica del film 14. La nozione di montaggio produttivo
IL MONTAGGIO PRODUTTIVO
L’approccio empirico e descrittivo è lontano dall’essere privo di interesse; esso ha inventato, nei suoi
esempi migliori, l’essenziale delle funzioni pensabili del montaggio.
La nozione di montaggio creativo o produttivo è abbastanza antica: in Balazs ne parla già nel ’30, dicendo
che è produttivo un montaggio grazie al quale apprendiamo qualcosa che le immagini stesse non mostrano;
in Mitry nel ’63, l’effetto-montaggio risulta dall’associazione, arbitraria o meno, di due immagini che,
rapportate l’una all’altra, determinano nella coscienza che le percepisce un’idea, un’emozione, un
sentimento estranei a ciascuna di esse isolatamente. Questa nozione si presenta dunque in realtà come una
vera e propria definizione del principio di montaggio, questa volta dal punto di vista dei suoi effetti: il
montaggio potrebbe così definirsi come la giustapposizione di due elementi filmici, che genera la
produzione di un effetto specifico che ciascuno dei due elementi, preso isolatamente, non produce. In realtà,
ogni tipo di montaggio e ogni utilizzo del montaggio sono produttivi: il montaggio narrativo più trasparente
come il montaggio espressivo più astratto, mirano entrambi a produrre questo o quel tipo di effetti; il
montaggio è, per natura, una tecnica di produzione, e si definisce sempre anche attraverso le proprie
funzioni: sintattiche, semantiche e ritmiche.
Nicola Giuseppe Scelsi Sezione Appunti
Estetica del film 15. Le funzioni sintattiche, semantiche e ritmiche del montaggio
FUNZIONI SINTATTICHE
Il montaggio garantisce relazioni formali individuabili come tali, più o meno indipendenti dal senso; esse
sono essenzialmente di due generi:
- Effetti di congiunzione o di disgiunzione, e più in generale tutti gli effetti di punteggiatura e demarcazione,
come ad esempio la dissolvenza incrociata; la produzione di una congiunzione formale tra due piani
successivi, è in particolare ciò che definisce il raccordo nel senso stretto del termine, nel quale questa
congiunzione formale viene ad rinforzare una continuità della rappresentazione stessa.
- Effetti di alternanza o di linearità. L’alternanza di due o più motivi è una caratteristica formale del discorso
filmico, che non da luogo, da sé sola, ad un significato univoco; a seconda della natura del contenuto dei
piani interessati, l’alternanza poteva significare la simultaneità, nel montaggio alternato, o esprimere una
comparazione tra due termini disuguali riguardo alla diegesi, nel montaggio parallelo, ecc.
FUNZIONI SEMANTICHE
Questa è certamente la più importante e la più universale, quella che il montaggio garantisce sempre, e che
ha dato luogo alle polemiche sulla collocazione e il valore del montaggio; essa ricopre infatti casi
estremamente numerosi e vari:
- La produzione del senso denotato, che coincide con quanto descriveva la categoria del montaggio
narrativo.
- La produzione di sensi connotati, essi stessi molto diversi nella loro natura: e cioè tutti i casi in cui il
montaggio pone in rapporto due elementi differenti per produrre un effetto di causalità, di parallelismo, di
comparazione, ecc. Proprio a causa dell’estensione quasi indefinita della nozione di connotazione, è
impossibile fornire qui una tipologia reale di questa funzione di montaggio; certo, non mancano esempi
classici per illustrare l’idea di comparazione o di metafora, ma si tratta di un caso molto particolare,
riguardante il montaggio di due piani successivi
FUNZIONI RITMICHE
Questa funzione è stata riconosciuta, e rivendicata, e talvolta anche contro la precedente; è stato tra l’altro
proposto di caratterizzare il cinema come musica dell’immagine, vera e propria combinazioni di ritmi. In
realtà, come ha mostrato Mitry, non c’è nulla in comune tra ritmo filmico e ritmo musicale, se non altro per i
diversi canali d’accesso: il ritmo filmico si presenta quindi come la sovrapposizione e la combinazione di
due tipi di ritmi, del tutto eterogenei:
- Ritmi temporali, che si instaurano soprattutto nella colonna audio;
- Ritmi plastici, che possono risultare dall’organizzazione delle superfici del quadro, o dalla ripartizione
delle intensità luminose, del colore, ecc.
Naturalmente, distinguendo in tal modo tre grandi tipi di funzioni ci siamo allontanati da una descrizione
immediata delle figure concrete di montaggio, le quali si presentano in realtà come in grado di originare
diversi effetti simultanei; come esempio basterà prendere una figura molto banale con il raccordo su un
gesto, che produrrà almeno: un effetto sintattico di congiunzione tra i due piani (attraverso la continuità del
movimento apparente da una parte e della giunta dall’altra), un effetto semantico narrativo, eventuali effetti
Nicola Giuseppe Scelsi Sezione Appunti
Estetica del film di senso connotati, un possibile effetto ritmico (legato alla cesura introdotta all’interno di un movimento).
L’idea di descrivere dei generi di montaggio è anch’essa molto antica, e si è concretizzata nella
fabbricazione di tavole di montaggio, oggi ampiamente superate, spesso fondate più o meno direttamente
sulla pratica stessa dei loro autori; ma il loro obiettivo, nella maggior parte dei casi, è un po’ confuso, e si
tratta sia di un catalogo di ricette destinate a nutrire la pratica di fabbricazione dei film, sia una
classificazione teorica degli effetti di montaggio: essi definiscono dei tipi complessi di montaggio, per
combinazione di tratti elementari diversi, in relazione tanto agli oggetti che alle modalità di azione e agli
effetti ricercati. Qualche esempio di queste tavole: Balazs, senza pretendere di essere sistematico, elenca un
certo numero di tipi di montaggio: ideologico, metaforico, poetico, allegorico, intellettuale, ritmico, formale
e soggettivo; Pudovkin elabora una nomenclatura differente, senza dubbio più razionale: antitesi,
parallelismo, analogia, sincronismo, leitmotiv; Ejzenstein stesso propose la seguente classificazione:
metrico, ritmico, tonale, armonico, intellettuale.
Nicola Giuseppe Scelsi Sezione Appunti
Estetica del film